francesco-renga-porta-la-sua-brescia-a-sanremo
I luoghi e la musica,  Viaggi

Francesco Renga porta la sua Brescia a Sanremo

Francesco Renga tra i vicoli di Brescia

Francesco Renga, il cantante bresciano, racconta del potere dei ricordi mentre passeggia per la sua Brescia deserta, e dimostra ancora una volta l’attaccamento alla sua città.

Si è esibito lo scorso martedì, portandosi dietro qualche polemica per la performance non perfetta, ma qui vogliamo dare risalto alla sua carriera: Francesco Renga nasce a Udine il 12 Giugno 1968, e si trasferisce a Brescia due anni dopo.

Per non lasciarla più.

Francesco Renga: tra infanzia e adolescenza

Muovendo i primi passi tra i vicoli di Brescia. Perché da subito Francesco Renga si appassiona alla musica, e sale alla ribalta nel 1985, quando partecipa con un gruppo di amici al concorso musicale Deskomusic e si aggiudica il primo premio.

Da quel successo, ottenuto insieme al suo futuro gruppo per i successivi tredici anni, i Timoria, Francesco Renga comincia un percorso che lo porta sul gradino più alto del podio di Sanremo, nel 2005, con una canzone che ormai è entrata a far parte della nostra cultura: Angelo.

E partiamo da questa canzone, che ben 15 anni dopo è stata usata per dare nuova forza, e nuova speranza alla sua Brescia.

Nel suo profilo ufficiale su Youtube, infatti, ha pubblicato la sua canzone che accompagna le immagini di una città deserta, una città che Francesco Renga ama e che prova a sostenere con la sua voce.

‘Quelle che vedrete sono immagini della mia città, Brescia. Sono immagini di questi giorni… mostrano una città desolata, spettrale, una città vuota. Tocca a noi riempirla. Ora, subito. Dobbiamo riempirla d’amore, solidarietà e comunione. Quello che è successo non riuscirà a spegnere la nostra luce e non piegherà il nostro spirito.’

La telecamera indugia sulla città, la accarezza quasi,

attraversando strade, viali, rotonde e incroci,

per fermarsi di fronte ai suoi monumenti.

francesco-renga-porta-la-sua-brescia-a-sanremo

Vediamo piazza della Loggia , progettata in piena epoca rinascimentale. Gli edifici che la circondano, in stile veneziano, si alzano e sovrastano il pavimento in pietra.

Tra questi spiccano le statue che secondo la tradizione bresciana erano portatrici delle lamentele del popolo nei confronti dei regnanti, le famose “statue parlanti”.

Chi voleva poteva mettere in forma anonima dei messaggi da recapitare ai governanti.

francesco-renga-porta-la-sua-brescia-a-sanremo

Oltre a questa risalta il Duomo Nuovo, o più correttamente la cattedrale estiva di Santa Maria Assunta, la chiesa principale di Brescia.

Prodotto del tardo Barocco, si ispira alla basilica di San Pietro a Roma: la facciata si sviluppa su due ordini, più largo quello inferiore per contenere i due ingressi laterali e più stretto quello superiore, a scopo puramente decorativo.

Dall’aria slanciata ed elegante, la chiesa di Santa Maria Assunta rappresenta uno dei monumenti principali di Brescia, un simbolo di una città che non si arrende mai (non per niente i suoi abitanti la chiamano “La Leonessa”).

Tra le inquadrature, infine, il regista indugia sul foro romano di Brescia, il centro dell’antica città di Brixia risalente al I secolo a. C.

Dichiarato patrimonio mondiale dell’UNESCO, è il complesso archeologico monumentale che conserva i maggiori edifici pubblici romani del nord Italia.

Dall’organizzazione degli edifici ritrovati, e dall’altezza delle colonne gli archeologi hanno ricavato le informazioni necessarie per ricostruire la piazza: il foro di età flavia, fatto costruire da Vespasiano, era largo 40 metri e lungo 120, con le stesse proporzioni del foro di Pompei.

La voce di Francesco Renga accompagna la storia di Brescia, la storia di una città che non vuole arrendersi.

Un legame profondo, quasi viscerale, che lo accompagna anche nel video della sua nuova canzone di Sanremo ‘Quando trovo te’.

“Io non tengo segreto che avrei fatto carte false per essere a questo festival che reputo il più importante di quelli che ho fatto io fino ad ora e sono tanti. Questo è un festival al quale non potevo mancare, il Festival della rinascita, della ripartenza, in cui la musica torna finalmente ad essere ancora protagonista”.

Francesco Renga: di nuovo a Sanremo, per “L’Edizione che vale di più”

Torna quindi a Sanremo con una canzone dal significato profondo, molto apprezzata dai fan, e ripropone un tema molto introspettivo: l’oblio.

In un periodo come questo, dove, presi dalla frenesia di un’emergenza sanitaria costante, riusciamo sempre meno a fermarci e a guardare indietro, a ciò che era prima, Francesco Renga prova a darci l’esempio.

Guarda un po’ la mia città è insonne

E ha smesso di sognare

Come mai nessuno ora lo ammette

Gente che taglia le ombre

Mentre il traffico ancora riempie

Spazi immensi di solitudine

Canzone scritta insieme a Roberto Casalino e Dario Faini, ricorda ancora una volta l’amore per una città, la sua città, Brescia.

Un centro pieno d’arte e di storia, afflitto dalla piaga del COVID-19, una città che Francesco Renga attraversa a piedi, lo sguardo sulle strade che tanto ama.

E la pioggia, nel video, a risvegliare dal torpore il luogo in cui è cresciuto ed è diventato il cantante che tutti conosciamo.

Brescia e Francesco Renga. Sempre insieme.

E non fatevi ingannare dalla coppia che appare in video: la ragazza, infatti, rappresenta “il momento in cui quel ricordo felice che ognuno di noi tiene nascosto in fondo al proprio cuore come un prezioso tesoro, al riparo dal casino della quotidianità, all’improvviso riaffiora potente nelle nostre esistenze, restituendo loro un senso più profondo e aprendoci gli occhi su una realtà che è migliore di quello che pensiamo.”

Una canzone d’amore, una delle sue canzoni, ma non amore per una persona, amore per una condizione, quella dell’uomo, e amore per la sua città, in difficoltà ora più che mai.

Certamente questo periodo così assurdo a me è servito per ritrovare e riscoprire delle cose che stavamo perdendo. Rimanere a casa ci ha dato modo di riscoprire cose che rischiavamo di perdere. Il modo di condividere il dolore dell’altro, tutti soli nella propria abitazione ci ha dato quel senso di comunità che stavano smarrendo.