
Tutto l’amore che serve
“Tutto l’amore che serve”, presentato all’81.a Mostra del cinema di Venezia, ha emozionato il pubblico per il soggetto e per l’interpretazione appassionata di una notevole Laure Calamy e degli attori che hanno impersonato la coppia di giovani con disabilità che vogliono vivere fino in fondo la loro storia d’amore.
Anne-Sophie Bailly sceglie un tema insolito, raramente raccontato, su cui si è seriamente documentata prima delle riprese, durate circa un mese e per le quali ha puntato su interpreti non professionisti per assistenti sociali e professionisti del settore.
Madre e figlio
Il rapporto madre-figlio è al centro del film, che in originale si intitola Mon inséparable, sottolineando la co-dipendenza che li lega e li condiziona nel costruirsi una vita autonoma e indipendente.
Da giovanissima Mona ha avuto Joel, che nonostante una disabilità cognitiva, lavora in un centro specializzato e si innamora, ricambiato, di Océane, una ragazza che vive la sua stessa realtà.
La loro relazione viene a conoscenza di genitori e assistenti quando Océane scopre di essere incinta. I due ragazzi sono decisi a tenere il bambino, nonostante l’opposizione dei genitori di lei.
Mona si trova di fronte a prospettive che non aveva considerato e deve affrontare il distacco dal figlio, che fin ad ora riteneva del tutto dipendente da lei e cui si era dedicata totalmente. Deve rimettere in discussione la propria vita, la possibilità di vivere un nuovo rapporto d’amore; deve porre al centro se stessa e le proprie esigenze sessuali e affettive.
È un percorso difficile e incerto. Così come quello della giovane coppia che cerca una casa e affronta la genitorialità, con l’aiuto di famiglie e educatori, consapevoli dei pregiudizi e della diffidenza che potrebbero incontrare.
“Tutto l’amore che serve”: un’opera prima meditata e promettente
La regista Anne-Sophie Bailly, al suo primo lungometraggio, è partita da esperienze che ha osservato attraverso il lavoro della madre in una casa di riposo: “la cura crea sempre una codipendenza tra la persona che dà e quella che riceve le cure.” Questo rapporto sta al centro del film che racconta la storia dell’emancipazione di Joel e di Mona.
“La vulnerabilità di un figlio disabile accentua le paure del genitore o dei genitori. Rende più difficile il distacco”.
Joël è “lento”, ha difficoltà di apprendimento legate a un deficit neurologico. Bailly osserva: “il tempo trascorso con le persone definite “lente” mi ha fatto riflettere a lungo sulla natura dell’intelligenza… Non sono così sicura che si possa misurare veramente riducendola alla famosa nozione di “quoziente intellettivo”.
Per la lavorazione del film la regista ha trascorso molto tempo all’ESAT Ménilmontant, una struttura dove le persone con disabilità possono entrare nel mondo del lavoro. Lì ha conosciuto un giovane con la sindrome di Down, che l’ha ispirata.
Joël e Océane
I protagonisti sono interpretati da Charles Peccia Galletto e Julie Froger, giovani attori disabili, che mettono in mostra sensibilità, intelligenza emotiva e comprensione della realtà. Charles e Julie hanno molto in comune con i loro personaggi, ma non vanno identificati con loro.
“Sono volti che raramente si vedono nei film, e corpi che raramente vengono mostrati… Per me è stato un piacere incredibile filmarli. Cinematograficamente, ci stiamo avventurando in un territorio magnifico e inesplorato. Dove non c’è visibilità, il cinema fa luce.” – osserva Bailly – “ Volevo davvero parlare di ciò che è tabù, … del modo in cui alle giovani donne viene impedito di rimanere incinte attraverso gli impianti e così via.”
Nonostante le persone con disabilità siano circa il 10% della popolazione francese, pochi mettono su famiglia e sono “come uccelli su un filo”, a causa di difficoltà logistiche (le istituzioni non accettano famiglie) e per un tabù eugenetico. Su questo riflette il film, e sui diritti del bambino/a che verrà.
Mona e Frank
La storia d’amore di Joel dà a Mona una nuova libertà, da conquistare attraverso un percorso drammatico, che rischia di mettere subito in crisi l’amore nascente con Frank, incontrato in un bar e ritrovato nella notte in cui Mona è sola, essendosi smarrito Joel nella festa di strada a Charleroi (dove lo ha portato con il miraggio di trovare un padre mai conosciuto, che Joel immagina in Antartide), in una sorta di vacanza prima delle grandi decisioni che cambiano la vita.
Mona ha rinunciato a vivere per sé, ponendo al primo posto il figlio. Ora è lui che vuole andarsene, per vivere la sua vita. E anche per lei si apre una nuova fase, che la sconvolge.
Laure Calamy dà vitalità, forza e fragilità al personaggio con potenza recitativa e talento mostrati in altri suoi film, dove ha dato vita a donne reali, alle prese con problemi veri: di lavoro, di cura, di relazioni affettive complesse.
“Tutto l’amore che serve” di Anne-Sophie Bailly, con Laure Calamy, Charles Peccia, Julie Froger, Francia 2024 – Nelle sale dal 19 giugno – distribuzione Medusa

