Penelope in viaggio: abiti come metafora. Moda, ricordi ed evasione
La felicità di creare giacche assemblando tessuti da tutto il mondo
Penelope in viaggio. Si torna dai viaggi carichi di deliziose e improbabili cianfrusaglie che, viste sul posto, ci fanno innamorare tanto siamo entusiasti di vivere un momento di evasione. Una volta tornati, questi caratteristici oggetti raramente possono davvero abbellire la nostra casa.
Ma tant’è, sono la memoria tangibile della nostra felicità nel visitare luoghi sconosciuti, molto diversi da quelli dove viviamo la nostra routine quotidiana.
Gli oggetti sono metafore del viaggio, memorie del nostro stupore nel confrontarci con culture, costumi, religioni e popoli diversi.
Fin qui nulla di particolare se non fosse che, la mia passione sono i tessuti. Non so proprio tessere – come Penelope – (ma sono Penelope in viaggio). Però cucire si. Si segue un filo, si prende un filo e si cuce o si ri-cuce. Anche nella vita e nei viaggi accade.
Ho iniziato presto a viaggiare, prima in Europa e poi in tutto il mondo seguendo il filo dell’emozione, come tutti quando progettano un viaggio. Viaggiare fa respirare a pieni polmoni, apre porte sconosciute dentro di noi.
Penelope in viaggio nel mondo
Cosi, senza rendermene conto, ho iniziato ad essere attratta dagli abiti delle donne in India, in Africa, in Sudamerica.
E ancora dalle tappezzerie dei divani nei locali inglesi o francesi, dagli abitini delle bambine americane, dai kaftani candidi o rigati degli uomini nei paesi arabi, quasi a ricordare i vecchi materassi delle nonne a Dubai.
Dalle sciarpe impalpabili in Nepal, i cuscini damascati nel Souk di Marrakech, i tessuti ricamati con perline tipici del Sudafrica che ho acquistato a Cape Town dopo aver percorso da Plettenberg tutta la Garden Route.
Ho iniziato senza rendermene conto una raccolta, direi una collezione di tutto ciò che mi emozionava.
Penelope in viaggio: la stamperia di Zanzibar
Di Zanzibar ricordo ancora il mare trasparente e celeste come si nuotasse nel cielo e le barche scure dei pescatori che camminavano nell’acqua bassa.
L’hotel senza pareti perché non ce n’era bisogno e gli abiti coloratissimi delle donne nei villaggi o lungo le strade. Fu per questo che mi ritrovai, dopo una estenuante ricerca, in una stamperia locale dove i parei si accumulavano a migliaia.
L’effetto era straniante, la bellezza di ognuno era tale
da rendere quasi impossibile la scelta,
tanto si veniva storditi da disegni e colori.
In Guatemala il colore regnava sovrano e si accumulava in tante righe tessute su telai antichi in piccole botteghe dal fascino incredibile, dove i colori dei filati si avvicendavano in modo imprevisto e stupefacente.
Penelope in viaggio: come resistere ?
In Messico antichi simboli Maya comparivano insieme ai tanti fiori ricamati in mille colori sugli abiti lunghi fino ai piedi e su teli o pesanti coperte vivacissime. Ricordo bene il mercato di Oaxaca, e i miei tessuti lo riportano alla memoria come ci fossi stata ieri, tra tutte quelle voci e quei colori.
Essaouira, sulla costa atlantica del Marocco, la considero un piccolo gioiello, candida, affacciata sul mare con case bianche su rocce scure e un porto pieno di barche blu berbero e gabbiani in volo, sopra le barche, sopra le case, sopra ogni pescatore intento a pulire il pesce.
Gabbiani pasciuti come tacchini, candidi e sfacciati. Nel mercato della domenica tra terra e resti del’Occidente, dai cellulari alle scarpe rotte, per terra, in modo improbabile, spesso una donna vendeva tessuti bellissimi, qualche metro e nulla più, prendere o lasciare, e io prendevo anche dai tappezzieri con i loro damaschi a disegni giganteschi pieni di oro e leopardo o rosso fluorescente.
Nei lussuosi negozi di tappezzerie inglesi firmate William Morris eccomi pronta all’acquisto come a Parigi con le romantiche toile de joui.
Di Miami Beach ricordo bene la fila di elegantissimi e costosissimi negozi, in uno di questi in stile Africa lusso, musica, abiti, oggetti e metri di shantung di seta, a prezzi surreali, ma che importa quando c’è la passione.
E simpatici cotoni americani comperati a New York , sete cinesi comperate a Shanghai dopo una lunga ricerca in questa fantastica e stimolante città.
Oppure prese nel Rajasthan, viaggiando vestita con una di quelle antiche vestizioni piene di ricami dal bustino stretto sopra una gonna larghissima o a Bali dove i tessuti spesso luccicavano di fili d’oro e le sarte ti vestivano col modello che preferivi in poche ore.
I cotoni turchi o africani, tutti mi affascinano, tutti raccontano una storia. L’elenco sarebbe troppo lungo ma i ricordi bellissimi.
Un bel giorno, avendo fatto per molti anni la stilista, ecco l’idea.
Aprire le tante scatole piene di tessuti e iniziare ad assemblarli per creare delle stupefacenti giacche, se così si possono definire, perché certo la forma delle normali giacche è ben diversa.
Ne sono usciti capi davvero particolari che, secondo me, emanano gioia, la gioia del viaggio che li ha portati fino qui, carichi delle memorie dei luoghi dai quali provengono.
Mi sono inventata un altro modo di viaggiare…nei ricordi.
Già pronta a ripartire davvero, al più presto. Per raccogliere e raccogliere altro ancora e per farne chissà cosa.
Testo di Clara Bartolini
Clara Bartolini – Via Gardone 16 – 20139 Milano – E mail: cb.clarabart@gmail.com
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foto di Giovanna Dal Magro