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Da Gualtieri a Brescello, dalla Reggia di Colorno a Casalmaggiore

Nella Bassa a Gualtieri: Antonio Ligabue e Umberto Tirelli. A pochi Km da Parma lungo l’argine del Po, nello splendido Palazzo Bentivoglio si incontrano due grandi artisti contemporanei che lì sono nati e le cui opere sono accolte nelle fondazioni permanenti a loro dedicate.

Di Antonio Ligabue “straniero in terra straniera”, pittore di visionarietà tragica, incontriamo i vivissimi animali e diversi intensi autoritratti.

Umberto Tirelli, realizzatore di costumi e archeologo della moda” è la mostra che percorre i risultati della sua collaborazione con alcuni tra i massimi protagonisti del mondo dello spettacolo e del cinema italiano: Visconti, Strehler, Fellini, Zeffirelli, Pasolini, oltre ad artisti come Manzù e Guttuso, con cui ha realizzato alcuni dei suoi abiti, esposti nei musei più prestigiosi del mondo: Louvre, Metropolitan, Museo del Costume di Tokyo e Palazzo Pitti.

La mostra è stata realizzata nel trentennale della donazione che nel 1992 Dino Trappetti, socio di Tirelli, fece al comune di Gualtieri.

Come spiega la curatrice Nadia StefanelÈ una collezione d’arte molto importante, di cinquanta opere, due abiti e molte foto che ricordano gli anni ’50, quelli della ‘Dolce Vita’. Tra le opere esposte quelle di Balthus, Mazzacurati, Guttuso, Clerici che fanno parte di un percorso molto personale dell’artista”.

Nel Salone dei Giganti fotografie, schizzi e bozzetti oltre a contributi di importanti nomi del mondo artistico a lui contemporaneo illustrano la creatività, la passione e il puntiglio con cui il costumista ha lavorato per le produzioni della Scala di Milano, di Cinecittà e del cinema mondiale.

Gualtieri Palazzo Bentivoglio Umberto Tirelli

Da Gualtieri a Brescello, sui passi di Peppone e don Camillo

Proseguendo nel nostro itinerario ci ritroviamo a Brescello “in quella fetta di Pianura padana fra il Po e l’Appennino”, come scriveva Giovannino Guareschi: un mondo piccolo fatto di gente genuina, buon cibo e paesaggi suggestivi.

Qui incontriamo Peppone e don Camillo, che si fronteggiano sulla piazza del paese come nelle pagine del loro autore e nei film che li hanno resi ancora più popolari attraverso le interpretazioni di Gino Cervi e Fernandel.

Brescello è meta di migliaia di turisti, curiosi di visitare i luoghi dei loro irresistibili scontri e incontri, raccontati anche nel locale museo.

Le 400 stanze della Reggia di Colorno

La lunga storia della reggia di Colorno ha visto infinite trasformazioni dell’immenso edificio e del parco antistante.

wikimedia commons

Alla metà del 1300 era una costruzione militare a difesa dei possedimenti di Azzo, signore di Correggio trasformata poi in dimora signorile e colta ed elegante corte rinascimentale.

Passata dalle mani dei Farnese a quelle dei Savoia nel corso del ‘600, con l’intervento dell’architetto Ferdinando Galli Bibbiena prese l’aspetto attuale.

Col passaggio nel ‘700 alla dinastia dei Borbone molti pezzi pregiati dell’arredo e collezioni d’arte furono trasferite nella reggia napoletana di Capodimonte.

Ma Filippo e la moglie Luisa Elisabetta, figlia del Re di Francia Luigi XV, ridiedero splendore all’intero complesso, sul modello di Versailles.

In epoca napoleonica nel 1807 la Reggia di Colorno venne dichiarata “Palazzo Imperiale”, ma dopo la caduta di Napoleone, l’intero ducato di Parma, Piacenza e Guastalla passò a Maria Luigia d’Austria, che vi impresse il segno indelebile del suo gusto.

Dopo l’Unità d’Italia il palazzo fu adibito dalla Provincia di Parma a sede del manicomio provinciale, che dal 1871 restò in funzione per un secolo. Qui nel 1975 Silvano Agosti girò “Matti da slegare”, film ispirato alla riforma Basaglia.

Oggi la Reggia di Colorno restaurata è meta di turisti e sede di ALMA, una Scuola di Cucina Italiana, che sotto la guida di Gualtiero Marchesi offre formazione specialistica a centinaia di giovani cuochi provenienti da tutto il mondo, e dell’Università di Scienze Gastronomiche di Slow Food.

Al Museo del Bijou di Casalmaggiore

Ultima tappa del nostro itinerario è il Museo del Bijou di Casalmaggiore, specializzato nella conservazione di oggetti d’ornamento e accessori prodotti dalle diverse fabbriche di Casalmaggiore tra la fine dell’Ottocento e gli anni ’70 del Novecento: spille, gemelli, bracciali, cinture, orecchini, ciondoli, portacipria, portarossetto, portasigarette, occhiali da sole, medaglie devozionali, distintivi…

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L’industria del bijou a Casalmaggiore era sorta in una piccola bottega-laboratorio per iniziativa del pioniere e maestro Giulio Galluzzi, che nel 1882 realizzava la prima lastra di metallo placcato oro.

L’innovazione rese florida l’impresa che già nel 1887 esportava i suoi prodotti anche in America Latina con il marchio “G.G.” , diventando poi “Società Anonima Fabbriche Riunite Placcato Oro”.

Dai primi anni ’30 iniziò la produzione di bigiotteria “fantasia”, sperimentando materiali e forme alla moda. Dopo il 1945 furono realizzati anche occhiali da sole e poi radio, registratori, televisori e perfino motori elettrici.

Alla metà degli anni ’70, alla chiusura delle linee della bigiotteria, l’intero campionario sarebbe andato disperso se non fosse intervenuta l’Associazione Amici del Bijou di Casalmaggiore che costituì il museo di archeologia industriale, poi donato al Comune nel 1985.

Crediti – immagine di copertina – Ingresso_Reggia_di_Colorno- @wikimedia Commons